Il caso Jane Austen: e se fossi destinato a fare qualcosa di diverso?

Spesso si sente dire, riguardo a qualcuno, “non c’è niente da fare, lui ha una predisposizione  innata per questa cosa”.

Sin da piccoli, ognuno di noi mostra le proprie inclinazioni personali.  C’è chi, sfiorando un’età ancora misurabile con le dita di una mano sola, scrive  a babbo natale di voler ricevere un microfono, un costume da ballo o una torcia da esploratore.
Ma siamo davvero sicuri che queste inclinazioni personali esitano davvero e che non siano solo il frutto delle influenze apportate dall’ambiente in cui siamo immersi? E  ancora,  vi siete mai chiesti se sia possibile ottenere qualsiasi tipo di comportamento desiderato dirottando a proprio piacimento il contesto in cui una persona è fisicamente e psicologicamente immersa? Qual è la relazione tra ciò che siamo e ciò che facciamo? E infine,  si può ritrovare traccia della  nostra personalità e delle  nostre predisposizioni nei nostri cromosomi?

Le domande sono numerose e le risposte sembrano essere indirettamente proporzionali ad esse, ma chiariamo meglio il quesito principale  con un esempio :se  Jane Austen  fosse cresciuta in un contesto diverso da quello così stimolante in cui è nata sarebbe diventata l’insigne scrittrice i cui libri sono tutt’ora un best-seller alla Feltrinelli? O , magari, se fosse nata anche solo qualche chilometro più a est dalla piccola cittadina di Steventon avrebbe, probabilmente   anche con un certo fervore, trovato un certo interesse verso la coltura del pomodoro  piuttosto che verso la scrittura?
Questo esempio vuole essere il nodo centrale del mio  interrogativo, ma ce ne possono essere tanti: pensa magari a te stesso,magari alla tua scelta di restare a vivere nella tua città di origine o di lavorare fuori , alla scelta  di iscriverti a biotecnologie piuttosto che a lettere , alla scelta di sposarti o convivere e così via.
Pensa  che tutto quello che hai progettato  è stato il risultato di calcoli  complessi e forse un po’ beffardi  compiuti da un eccellente matematico chiamato” ambiente” e che magari devi di più  a lui che a te stesso.
Watson affermava agli inizi degli anni venti ( opponendosi all’enfasi posta sui meccanismi interni della coscienza e della mente dei suoi colleghi) : “Datemi una dozzina di bambini sani, allevati bene, e un mio particolare ambiente per farli crescere e vi garantisco che prendendone uno a caso e addestrandolo a diventare uno specialista qualsiasi, potrei selezionare un dottore, un avvocato, un artista , un commerciante , e persino un mendicante e un ladro, al di là dei suoi talenti , inclinazioni , tendenze , abilità e vocazione e razza dei suoi avi “.

L’esperimento di Watson

Watson, attraverso un esperimento che ha portato alla morte  il piccolo Albert, cercò di dimostrare per la prima volta nella storia della psicologai moderna che la paura per qualcuno o qualcosa può essere indotta tramite condizionamento. Inizialmente al bambino veniva mostrato un topo bianco ed egli mostrava grande curiosità verso l’ animaletto .
Nei giorni successivi, ogni volta che Albert cercava di interagire con il muride, un grosso tubo di ferro veniva colpito da un martello, suscitando un sentimento di terrore nell’infante. Più i giorni passavano e più Albert si mostrava spaventato ed irrequieto, e non solo quando vedeva il topo: infatti, il piccolo sviluppò una paura nei confronti di tutto ciò che era peloso e bianco ,compresi una maschera da Babbo Natale e una coperta.La natura non discrimina. Ci modella tutti uguali sul piano delle potenzialità della mente. È come se ci allineasse lungo gli stessi blocchi di partenza. A fare col tempo la differenza  sono i condizionamenti ambientali. Famiglia, istruzione, cultura, i luoghi dove viviamo, la gente che frequentiamo. E’ anche vero però  che il ruolo della genetica ha assunto , grazie anche ai più recenti studi, un’importanza non indifferente per quanto riguarda la personalità e alcune caratteristiche peculiari dell’individuo, tanto che alcuni pionieri nel campo della neuroscienza , ritengono che i nostri geni dicono molto di più di quello che si pensa. Sto parlando di caratteristiche ereditarie della personalità.

Se sommiamo queste due originali teorie, non ci vuole molto a capire che resta davvero poco spazio alla nostra” voluntas”. Ma se rifacciamo la somma  però ,qualcosa non torna.

L’uomo non  si trova nella stretta morsa del suo ambiente e della sua stessa materia grigia ,è in grado di agire sulla realtà , di inserirsi attivamente in questo circolo di vita, in questo divenire sociale, piegando e plasmando a proprio vantaggio la realtà , quasi come un quadro di Dalì. Perchè siamo nati per per progettare e progettarci, ma anche per cambiare rotta.

e poi  ho l’impressione che a   Jane Austin manco piacevano i pomodori .