Intervista a Marco Melgrati, l’artista che racconta la dura vita ai tempi dei social network

La società cambia molto rapidamente. Se volessimo andare indietro nel tempo, soltanto dieci o quindici anni fa, i rapporti tra le persone non dipendevano così eccessivamente dal mezzo tecnologico. Oggi, se ci guardiamo intorno, vediamo coppie al ristorante che non si guardano più negli occhi ma muovono i pollici sui loro telefoni in maniera compulsiva; vediamo bambini che non giocano più a pallone in estate ma sono sempre più catturati dagli schermi portatili; vediamo un mondo di persone che hanno smesso di guardare il mondo intorno a loro senza provare a condividerlo.

Sembra assurdo che un articolo del genere esca fuori da un blog sull’intrattenimento e la tecnologia, ma è effettivamente un argomento che non mi sento di lasciare inespresso.

Si è spesso parlato di cambiamento nel sociale, qualcuno più radicale parla addirittura di “autismo digitale” ma, spesso e volentieri, si tratta di gruppi cattolici che portano avanti una complessa rivolta contro un demone che va oltre il credo religioso.

Per questo motivo, quando mi sono trovato davanti ai disegni di Marco Melgrati, ho profondamente apprezzato la sua arte. Le sue opere, a volte minimali, si rivelano particolarmente intense quando provano ad esprimere il senso di disagio dell’essere umano di fronte al vero desiderio.

Non è così strano domandarsi se desideriamo davvero la compagnia delle persone o se abbiamo bisogno soltanto di confrontarci con gli altri per una necessità di auto-compiacimento.

Provate a lasciare Facebook per un po’. Quelli che vi contatteranno su Whatsapp (figuriamoci una telefonata), saranno divisi in due categorie: quelli che non capiscono la vostra scelta e la criticheranno e quelli che vi contatteranno soltanto per elencarvi una lunga serie di vittorie personali, senza interessarsi minimamente alle vostre avventure. Un bizzarro esperimento, ma va provato.

Abbiamo intervistato Marco Melgrati dopo aver apprezzato le sue opere in rete. Marco è un artista che vive a Città del Messico da qualche tempo, lavora per importanti aziende e testate giornalistiche e ama raccontare il mondo intorno a sé con un occhio diverso dal solito.

Qui trovate i suoi lavori e la sua intervista.

Le tue illustrazioni sono una descrizione che lascia molto spazio alla riflessione sui nuovi rapporti tra gli individui, come nasce una delle tue opere? 

Quando lavoro su commissione (giornali, riviste, ecc) la libertà è ovviamente limitata perchè devo attenermi all’ articolo o all’ esigenze del committente.La difficoltà sta nel cercare di creare una buona immagine anche quando il tema da illustrare non è dei più stimolanti; nel qual caso cerco di trovare i lati più interessanti e più vicini al mio modo di disegnare, trovando un idea che possa esprimerli senza snaturare il tema. Quando invece disegno per conto mio, amo illustrare principalmente temi di attualità, letteratura e, in generale, quello che trovo più interessante al momento.Di solito prima di iniziare un illustrazione  raccolgo materiale su internet, foto, video, articoli  del soggetto che devo rappresentare; scrivo le parole e i concetti chiave cercando associazioni di idee. Poi mi prendo una pausa e cerco di lasciar fluire i pensieri senza sforzarmi di trovare un idea.Il modo migliore è andando a correre con la musica, o semplicemente sdraiandomi e chiudendo gli occhi.

Cosa pensi delle nuove tecnologie di realtà virtuale ed esperienza visiva a 360 gradi? In che modo modificheranno la società?

Ho provato gli occhiali di realtà virtuale per la prima volta qua in Messico. Devo dire che mi hanno abbastanza impressionato! Secondo me avranno un sacco di applicazioni, mi immagino ad esempio studi di architettura o interior designer che permettono al cliente di farsi un giro per la futura casa. Si tratta di uno strumento potentissimo, a tratti inquietante, perchè stimola la separazione totale dal reale. Come tutte le cose però, dipende dall’uso che uno ne fa. Non credo comunque che andrà ad intaccare lo spazio delle arti in 2d, la potenza della pittura della grafica e delle illustrazioni a mio parere sta proprio nei sui limiti bidimensionali: totalmente un altro linguaggio.

Lasciare l’Italia per diventare un nomade digitale è un’impresa che obbliga ad uscire dalla propria “comfort zone” alla ricerca di nuova ispirazione. Come ha influenzato la tua arte? 

Penso che internet abbia  totalmente rivoluzionato, nel bene o nel male, il mondo del lavoro.Poter lavorare da internet permette una libertà di movimento e una gestione del proprio tempo molto ampia. Non parlo soltanto di questo tipo di lavoro, ci sono amici che lavorano come dipendenti per alcune aziende e, da quando hanno iniziato a lavorare alcuni giorni in remoto, hanno incredibilmente aumentato la produttività.Uscire dal proprio paese è comunque stimolante. Non ho trovato particolari problemi ad ambientarmi in Messico, nell’ultimo periodo sono in compagnia di mio fratello (fotografo, architetto) che sta facendo il giro del mondo in moto e sta imparando a conoscere questo gran bel Paese. Certo ci sono molti problemi, ma la nazione sembra comunque essere in via di sviluppo.Città del Messico è estremamente caotica, ma molto stimolante e molto viva. Sinceramente molto più bella di quello che mi aspettassi.Immaginate che il New York Times l’ha inserita, in una graduatoria di 52 città, come la prima città da visitare quest’ anno.

Cosa c’è in Italia che non hai trovato all’estero? E cosa all’estero che non esiste nel nostro Paese?

L’ Italia, per quel poco che ho avuto modo di viaggiare e farmi un metro di paragone, è il paese più bello del mondo! Ne sono convintissimo, non ho mai visto un paese così vario e ricco. In ogni paesino si può trovare una chiesa barocca, un tempio romano, dipinti dall’alto valore storico e artistico.
Purtoppo, e spero di sbagliarmi, l’impressione che ho, è quella di un paese bloccato: ultra-burocratico, con una popolazione anziana, una politica spesso ottusa e, ancora peggio, ognuno cerca di “fregare” il prossimo.
All’ estero si ritrovano un po’ gli stessi problemi, non esistono eden. La grande differenza è che in molti paesi è più facile iniziare qualcosa; la gran parte dei miei amici di Milano è andata a lavorare all’estero. Sono felicissimo di essere nato in Italia,  ma un paese con una disoccupazione giovanile intorno al 40 per cento ha di sicuro qualcosa che non va.