Minimalismo digitale: come riappropriarsi del proprio tempo libero e tornare ad essere felici

Erano tempi non sospetti quando, sul finire del 2012, prendevo la mia decisione di lasciare in via del tutto definitiva Facebook, il social network preferito dai millennials prima di Instagram e, ho ancora qualche dubbio ad ammetterlo, TikTok.

Certo, ero un po’ in anticipo sui tempi (e decisamente più giovane) e non potevo ancora sapere che il social network di Zuckerberg avrebbe aumentato esponenzialmente la fascia di iscritti oltre i 45-55 anni e che milioni di “pollici” avrebbero iniziato a gradire quei tanto commentati post di immagini del caffè, auguranti “buongiornissimo” di primo mattino.

Era il 2012 e, a differenza di molti tra i miei coetanei, iniziai a prendere le distanze da Facebook. Scelsi Twitter come sostituto: rapido e utilizzato solo nei momenti in cui volevo tenermi aggiornato su un argomento.

Con quella scelta, gettai involontariamente le basi per il mio approccio alla filosofia del minimalismo digitale, una forma di pensiero che permette di stabilire cosa sia davvero importante e di valore nella nostra vita e di tagliare fuori l’eccesso ridondante e poco utile.

Negli anni, non sono stato impermeabile a forme di minimalismo materiale: dopo aver visto un meraviglioso documentario su Netflix ho iniziato a comprendere l’importanza del decluttering, ovvero della possibilità di sfrondare tutto ciò che non crea valore nella nostra vita dandoci la possibilità di vivere con l’essenziale.

Non fraintendete, essere minimalisti non vuol dire liberarsi di tutti i propri averi e vivere con una sparuta minoranza di vestiti o arredi, significa dare la giusta importanza a ciò che entra a far parte della nostra vita e impedire a ciò che è superfluo di sottrarci ciò di cui più abbiamo più caro al mondo: il nostro tempo.

È in questa fase di studio sul minimalismo che nel mio percorso si è introdotto, in modo quasi naturale, il necessario libro di Cal NewportMinimalismo Digitaleedito da Roi Edizioni.

In Minimalismo Digitale, Newport affronta l’argomento in un modo piuttosto bizzarro: si presenta come un millennial, un professore di informatica, che non ha mai utilizzato i social network e che non ama mandare messaggi ma che, nonostante ciò, è riuscito a rimanere in una prospettiva esterna, libero dalla manipolazione di smartphone e social network.

Paradossale? Sì.

Efficace? Assolutamente.

Cal Newport esprime in 230 pagine una lettura squisitamente obiettiva della nostra società e la organizza in un sistema geometrico, un puzzle, per cui basta cambiare alcuni pezzi per migliorare la nostra vita a partire dai prossimi trenta giorni.

Si parte con il decluttering digitale: in 30 giorni bisogna allontanarsi dal proprio smartphone, cercando di misurarne le metriche. Basta scaricare un’app o, se avete un iPhone, potete analizzare nelle impostazioni il vostro tempo di utilizzo della giornata e della settimana.

Newport non si limita però a creare un manuale con le buone pratiche per una corretta vita digitale. Soprattutto nella prima parte del libro è essenziale il confronto con la filosofia aristotelica, con la dottrina della civiltà amish e, last but not least, con gli scritti di Thoreau riguardanti la sua esperienza lontano dalla civiltà.

È proprio in questa sede che Newport inizia a porre l’attenzione sull’esigenza di passare dei momenti di solitudine. Solo attraverso i momenti in cui siamo soli con noi stessi riusciamo a focalizzare l’attenzione su ciò che conta davvero e, soprattutto, siamo capaci di risolvere alcuni dei più importanti dilemmi della nostra vita lavorativa.

Il libro prosegue con tutta una serie di buone pratiche che non starò qui ad elencarvi, vale la pena comprare il libro e seguire abbastanza agevolmente l’how to consigliato dall’autore.

Minimalismo digitale non è assente da alcune ridondanze e, talvolta, da alcune virate ideologiche. Tuttavia, si tratta di un manuale che in un certo senso è ancora sperimentale, da adottare in tempi in cui stiamo iniziando a riappropriarci della nostra vita e del nostro tempo libero dopo un decennio di improvvisazione sociale e tecnologica scevra da qualsiasi linearità evoluzionistica.

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