Dolore, desiderio, rinascita in “Tutto quello che c’è” e “Era andata a finire così” due nuove uscite di Fandango
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Quando ho avuto tra le mani Tutto quello che c’è di Sara Torres e a Era andata a finire così di Maddalena Vianello, ho sentito il peso della perdita, l’angoscia della ricerca e la potenza del riscatto materializzarsi tra le righe. Questi due romanzi, pur così diversi, dialogano intimamente con chi ama i libri che fanno vibrare sentimenti e pensieri.
Ecco cosa ho trovato in ognuno.
Tutto quello che c’è — Sara Torres
Leggere Tutto quello che c’è è come stare dentro un crepaccio emotivo: la narrazione ti costringe a misurare il proprio vuoto, a sentire l’eco di assenze che non si sanano facilmente. Mi ha colpito quanto la voce narrativa non fugga dal dolore, ma lo accolga, lo misuri, lo trasformi — senza esibizioni sentimentali. C’è delicatezza e tensione insieme.
Ho sentito il respiro trattenuto, soprattutto nei passaggi che intrecciano memoria e desiderio: la madre che non può più parlare, l’amante che scompare, la protagonista che rimane sospesa. Quel “amare è sempre amare dopo mia madre” mi ha messo una piccola lama sul petto: un’amore che deve fare i conti con ciò che è stato prima.
In alcuni momenti la scrittura si fa rarefatta, poetica, suggerendo più che mostrando; in altri diventa tagliente, ineludibile. È un testo che ti chiede attenzione, che non puoi divorare: ti accartoccia, ti respira addosso.
Credo che per ogni lettore connesso al tema del lutto, dell’identità, della ricerca di sé dopo la perdita, Tutto quello che c’è possa funzionare come una mappa fragile e potente.
Era andata a finire così — Maddalena Vianello

Con Era andata a finire così ho provato la forza della storia collettiva che si infiltra nella storia individuale. Francesca diventa un’anima che porta i segni del suo tempo, la migrazione forzata, il senso di dislocamento, il conflitto tra sogno e realtà, e li fa propri. Non è solo il suo lamento: è un’eco che parla di molte donne, molte storie di generazioni che tentano di “finire” diversamente.
Ho percepito un ritmo progressivo, non folgorante, ma drammatico nella potenza che acquista mano a mano che il romanzo procede. Le parole assumono un peso, lo spazio tra le righe si carica di silenzi: in quei silenzi ho sentito l’odore della fatica, della speranza che cerca fessure.
La figura della nonna Rosa, inventata con poche parole ma potentissima, mi ha risvegliato il senso della memoria come ancora: è un bene fragile, ma talvolta l’unico che impedisce di affondare. E Francesca che si sostituisce, che sogna altrove, che desidera una esistenza che valga — mi ha ricordato che ogni rinascita non è resa, bensì battaglia.
Letture a confronto e appello per chi ama leggere
Questi due libri mi hanno fatto pensare a come le lettere, le parole, le dighe dell’anima tengano dentro l’assedio dell’assenza. Tutto quello che c’è lavora con l’intimità radicale, con l’assenza che diventa lingua; Era andata a finire così espande fino al sociale, all’epoca, alle circostanze storiche che infrangono o forgiano vite.
Se ami i romanzi che riflettono sull’identità, sul desiderio, sulle radici e sul futuro, ti consiglierei di leggere entrambi. Sono due sguardi diversi, che insieme compongono un dialogo potente: tra il privato e il pubblico, tra ciò che perdiamo e ciò che scegliamo di costruire.
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