Ho tanti amici che sono emigrati dall’Italia e, dopo questa decisione, mi è capitato di perderli inevitabilmente. Qualcuno decide di restare fuori patria, accontentandosi di fare lori che qui non prenderebbe nemmeno in considerazione, qualcun altro invece è tornato e si trova danti ad una scelta: affrontare i problemidelritorno o lare i vestiti in valigia e cambiare destinazione.
Per quanto mi riguarda, rispetto a questo trend, ho sempre preferito che i miei spostamenti all’estero restassero un’ventura, una possibilità di imparare e, nessuno me ne voglia, da spendere al meglio nella mia terra. Sono nato e cresciuto a Napoli, quella città che si ama e che si odia e da cui mi sono allontanato, nonostante abbia deciso di restare in Campania.
Penso di ere un punto di vista un po’ snob e fuori dai canoni, fino a quando non ho visto il trailer di un documentario di un amico, Goffredo D’Onofrio, incontrato in un viaggio di loro a Milano ma partenopeo e con la pizza di maccheroni di mammà nel cuore.
Come poteva non essere credibile un loro sul ritorno alle origini?
Questo documentario si chiama “La strada di casa” ed è realizzato da Goffredo D’Onofrio e Carolina Lucchesini. I due reporter, telecamera alla mano, hanno deciso di raccontare le storie di tre dei laureati italiani che hanno uto il coraggio di sfidare le convenzioni, motivati a cambiare tutto. Il reportage, in finale al festival Lori in corto di Torino, ha ricevuto il meritato successo del pubblico.
Abbiamo intervistato i due autori de “La strada di casa” facendoci raccontare la loro visione dell’Italia che sta cambiando.
Come nasce il progetto del vostro documentario, ovvero da dove parte la necessità di raccontare queste storie?
<<Siamo partiti da un’esigenza, come spesso accade in questi casi. Siamo partiti anche dall’osservazione dei media e di ciò che ci sta attorno. Perché, se da un lato si parla sempre più spesso di cervelli in fuga, dall’altro non si ascoltano mai storie di chi decide di tornare. Abbiamo quindi immaginato il percorso opposto agli ormai “famosi” laureati che, ricchi di esperienze, titoli, voglia di fare, vanno via da questo paese. Abbiamo dunque trovato SerenaCarta, autrice del blog #cervellidiritorno (http://blog.vita.it/cervellidiritorno/) e nostra prima fonte, VincenzioPorzio, che con la cooperativa La Paranza gestisce le catacombe di San Gennaro di Napoli e Paolo Di Napoli, un ricercatore universitario che ha deciso di tornare a Torino per collaborare con le officine popolari>>.
Qual’è il vostro ideale italiano sul binomio innovazione-società?
<<Dipende da ciò che si intende da innovazione. Se si parla della retorica del self made man, delle persone che vogliono provare a diventare i nuovi Zuckerberg dal garage di casa, se si parla di una tecnologia onnipresente e fine a se stessa, no, non è questo il nostro modello di innovazione. Per noi “innovare” vuol dire creare ricchezza e valore nel proprio territorio. Tornare ad agire localmente con uno sguardo globale. Innovare significa anche immaginare la “crescita” in modo diverso: non solo la corsa al consumo con cui ci hanno imboccato per anni ma anche, e soprattutto, la capacità di costruire collettivamente i beni di cui abbiamo bisogno ogni giorno. Capendo, una volta per tutte, che il nostro Paese non potrà mai essere la SiliconValley, ma che – non per questo – non può non dire la sua. È un percorso di riconoscimento, di riappropriazione. E ne La strada di casa proviamo a raccontarlo>>.
Viaggiare e fare esperienza per poi tornare o costruire il proprio futuro investendo sulle proprie radici ed esportarne i frutti?
<<La prima, senza dubbio. Perché come dice Serena nel reportage: «Chi torna non lo deve fare per chissà quale missione salvifica, ma perché a casa propria si sta bene». Aggiungiamo: si sta bene, oggi, se e solo se si ha la possibilità di imparare, conoscere, scoprire. Anche, e soprattutto, fuori la propria dimensionedomestica>>.
Qual è l’obiettivo del vostro documentario? ete intenzione di raccontare più storie in seguito?
<<Far capire che è possibile, doveroso ere il diritto di tornare in questo Paese. Far capire che si può fare, senza paura. Far capire che solo attrerso la messa in rete di talenti, conoscenze, idee, si possono creare opportunità. E uscire dvero dalla crisi>>.
Ottimo spunto di riflessione le parole degli autori del reportage di cui sentiremo spesso parlare.
D’altronde anche Pino Daniele canta in Viaggio Senza Ritorno che “il sole nascerà” ma anche lui, che è da tempo fuori da Napoli, si sentirà come un gelato all’equatore. Ne sono convinto.
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